Statue giganti di paglia di riso? Fatto! Ancora una meraviglia made in Giappone by Musashino Art University. Gli studenti di questa eclettica università insieme ad alcuni residenti della città di Niigata hanno infatti dato vita al Wara Art Festival.
Chiamati a trovare un “impiego creativo” per l’ abbondante quantità di paglia di riso che si produce in zona, hanno deciso di creare delle statue giganti dalle forme più disparate.
Cerco di raccogliere i pezzi che sono sparsi dentro la mia mente, immagini, frame, frammenti, flash, odori, sensazioni. Il mio secondo viaggio in Giappone mi ha lasciato qualcosa dentro che non riesco ancora ad afferrare.
Ho pianto! Sì…ho pianto davanti alla bellezza del mondo e dell’essere umano nella sua complessità.
Il fascino del Giappone passa inevitabilmente anche attraverso il suo abito simbolo: il kimono, la cui storia, è a sua volta legata strettamente allo sviluppo dei tessuti e delle tecniche di tessitura.
Al contrario dell’abbigliamento occidentale, che viene tagliato per adattarsi ed evidenziare le forme, il fascino di questo capo sta nel mistero di quello che si cela e nella grazia dei movimenti.
Ecco perché le fodere dei kimono spesso, sono addirittura, più preziose della parte esterna, perché simboleggiano l’anima della donna, che viene mostrata solo alle persone più importanti. Osservando il kimono inoltre si può risalire al periodo storico, al livello di formalità e alla natura dell’evento per cui è stato indossato, oltre allo stato civile e al rango di chi lo indossa.
Le prime testimonianze chiare del tipo di abbigliamento indossato in Giappone risalgono al periodo Kofun (250/300- 552 d.c.) e ci sono state tramandate grazie alle sculture funebri. Uomini e donne indossavano delle specie di giacche a maniche corte e aperte sul davanti: per la parte inferiore, gli uomini indossavano dei pantaloni, mentre le donne usavano le gonne.
Secondo alcune fonti, fu l’Imperatrice Jingo per prima a importare la seta cinese in Giappone. Secondo altri fu la principessa Sotorihime a introdurne la tessitura nel paese nel quinto secolo. La storia e lo sviluppo di questo indumento sono infatti largamente influenzati dall’abbigliamento tradizionale in uso in Cina. Poi, durante il periodo di isolamento, vissuto dal Paese, il Giappone sviluppò una propria cultura.
Attraverso la storia, i tessuti, le tecniche e le innovazione il kimono è arrivato fino ai giorni nostri attraversando le trasformazioni della prima metà del Novecento che hanno trasformato questo capo antichissimo nel kimono maisen, cioè un abito dal design moderno, dai colori splendidi, e dal prezzo abbordabile , incarnazione di un’idea popolare di estetica, adatto alla nuova figura della donna lavoratrice.
Fino al 4 giugno è possibile ammirarli presso l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma, in via Antonio Gramsci 74 ( info: 06.3224754, www.jfroma.it), grazie alla mostra “VIVID MEISEN – La sfavillante moda kimono moderna”, che si inserisce tra gli eventi celebrativi del 150° anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia . Due le prossime visite guidate gratuite ma su prenotazione il 17 maggio alle 11:00 e lunedì 23 maggio alle 16:30. Imperdibile!
Il mio cuore, se qualcuno ancora non lo avesse capito è rimasto in Giappone, e così ogni occasione è buona per rituffarmi anche solo per poche ore, nell’atmosfera magica di quel paese, prendendo parte ad usi, costumi, tradizioni, manifestazione e quant’altro. Lo spunto è stato il Festival dell’Oriente alla Fiera di Roma che vi invito a non perdere, anche perché dopo i quattro giorni appena conclusi, la manifestazione ritorna per altri 2 weekend dal 29 al 1 maggio e dal 6 all’8 dello stesso mese, per poi spostarsi a Milano.
In questa occasione ho potuto prendere parte alla Cerimonia del tè che in Giappone assume i contorni di un vero e proprio rituale e dietro la quale si nasconde una vera e propria filosofia di vita. Nata tra i monaci ben presto si diffuse prima tra l’aristocrazia e ben presto tra i samurai, che ne fecero un elemento importante della VIA, il codice di condotta che regolava la vita dei guerrieri. Questa cerimonia si svolge nell’assoluto silenzio dei partecipanti e tutto il rito è un insieme di gesti fissi e lentissimi, ma che hanno tutti un grande significato simbolico.
Anche la preparazione del tè matcha prevede attrezzi particolari come il chasen ( un frullino di bambù) per la preparazione e anche essi devono essere purificati prima di essere utilizzati. Grazie all’Associazione Kokeshi, ho potuto invece ammirare una serie di meravigliosi kimono, il tradizionale abito giapponese, secondo le varie tipologie e gli usi.
Kimono da sposa (Iroucikake)
Kimono da sposo
Kimono informale elegante ( Komon)
Kimono da fanciulla nubile (Furisode)
Una splendida Mostra sul Giappone è stata invece allestita da Battodo Italia, la prima e più antica scuola di quest’arte marziale che divulga ed insegna il reale uso della Katana (la spada giapponese), arma elitaria e propria dei Samurai del Giappone feudale.
Lasciato il Giappone mi sono tuffata nella danza Bhangra che ha origine nella regione del Punjab del Pakistan e dell’India, ballata in origine dagli agricoltori per festeggiare l’arrivo della primavera, un tempo nota come Vaisakhi.
Ho poi scoperto che nella danza Kuchipudi, originaria dell’Andhra Pradesh, in India Meridionale, tutti i movimenti sono un dialogo continuo con la divinità, come in un linguaggio dei segni, ogni
gesto ha il suo significato volto a raccontare una storia e per questo tutto il corpo ne viene coinvolto e soprattutto il volto con una mimica facciale molto accentuata, ma anche con una notevole fluidità nel movimento del busto e delle braccia, in contrasto con rapidi e secchi movimenti dei piedi.
Bellissima anche la danza del pavone che nasce nella provincia sudoccidentale di Yannon, in Cina, riccamente popolata da queste splendide creature.
Che dire infine della danza egiziana Tannura che, prende il nome dal particolare indumento indossato dai danzatori, ossia la gonna, che rappresenta il rituale dei dervisci “volteggianti”, ricco di allusioni cosmologiche. Solo se ci ripenso mi viene il mal di testa. Guardate il video e capirete!!!
Prima di lasciarvi voglio ricordarvi che il costo del biglietto è di 12 €, ma quest’anno la famiglia è cresciuta e così si sono aggiunti anche l’Holi Festival,
che fa parte della tradizione induista ed è dedicato completamente ai colori e all’amore,
il Festival Irlandese, per vivere tutte le tradizioni tipiche del fascino che emana l’Irlanda,
il Festival dell’America Latina dove verrete travolti dal calore, dalla passione, dal ritmo e dal fascino intenso dell’incredibile mondo Latino Americano.
E ancora Salute e Benessere da Oriente a Occidente, dedicata alla cura del proprio corpo e della mente, per finire con il Festival delle Arti Marziali, con tantissimi eventi presentati da maestri ed atleti a cui potranno prendere parte in prima persona tutti i visitatori.
Il libro di schizzi di Hokusai, lo “Hokusai Manga”, spesso utilizzato per spiegare le radici del manga contemporaneo, ha dato vita ad una mostra che ha messo a confronto visuale l’espressione manga del maestro e quella ukiyoe del manga contemporaneo, mettendone in risalto punti di incontro e divergenze.
Pannelli, stampe, libri illustrati d’epoca, tavole ed altro, presso la Japan Foundation di Roma, hanno dato il via ad un tour mondiale all’insegna dell’interazione tra tradizione e contemporaneità, nella mostra MANGA HOKUSAI MANGA.
Utagawa Kuniyoshi – Raft riders
La parola giapponese manga 漫画è stata coniata proprio dal pittore Hokusai Katsushika, nel 1815 circa, come titolo per una raccolta di disegni satirici, “Hokusai Manga”, combinando due parole: strano/buffo e immagine/ disegno.
Sugiura Hinako
Sugiura Hinako
Il significato letterale è “immagini divertenti” o “immagini in movimento”. È stato poi il mangaka Kitazawa Rakuten, agli inizi del Novecento, ad applicarla alle produzioni a fumetti.
Kitazawa Rakuten
Prima di lui, infatti, i fumetti umoristici erano alternativamente indicati con i termini giga, odoke-e, ponchi-e.
Poche volte mi è capitato di partire per un paese carica di aspettative di tornare ancora più soddisfatta di quanto pensassi. Mi è successo con Tokyo. E’ stato amore a prima vista. In realtà questa “tresca” ha origini lontane, lontanissime.
Vi ricordate quando a scuola, tipo alle medie, l’insegnante d’inglese, nel vano tentativo di farvi imparare la lingua, vi proponeva di intrattenere una corrispondente con un ragazzo e una ragazza di un paese straniero? Ebbene il mio “pen pal” era un ragazzino giapponese, il cui papà lo ricordo come fosse oggi, lavorava in un’azienda che produceva sanitari, alias i gabinetti. Allora mi sembrò una cosa strana e buffa da raccontare nella prima lettera, ma quando sono arrivata a Tokyo ho finalmente capito la sacralità di questo oggetto!!!
Per quanto grande possa essere Tokyo, per quanto alti siano i palazzi, per quanto le strade siano affollate, in ogni momento e in ogni angolo, avrete sempre e comunque un bagno a portata di mano, splendente come quello appena pulito da vostra madre. E non pensate a scenari comuni, il wc giapponese è un tripudio di igiene e tecnologia.
Dall’igienizzazione automatica appena si entra, al sedile riscaldabile, ai copri-water e tante tante altre meraviglie tutte da scoprire. In Giappone meno superfici si toccano e meglio è, per questo tutto è il più automatico possibile. Anche quando prendete il taxi non toccate la portiera, questa si aprirà da sola azionata dal conducente.
All’interno troverete quasi sempre un meccanismo contactless con cui potrete pagare direttamente con la carta di credito o con delle carte prepagate e ricaricabili che potrete acquistare al vostro arrivo in aeroporto, stazione, metropolitana etc.
Le più famose sono la PASMO e la SUICA , con queste infatti non solo potrete pagare su tutti i mezzi di trasporto, ma anche ai distributori automatici per cibi e bevande, nei negozi e sui taxi appunto.
Ad ogni stazione della metro inoltre, sia in entrata che in uscita, troverete le apposite macchinette per verificare il credito rimasto e per ricaricare.
E’ comunque sempre possibile pagare il biglietto con soldi cash o integrare solo la cifra che vi serve sulla card nel caso aveste terminato il vostro soggiorno in Giappone. Insomma in questa città è tutto perfettamente funzionante.
Il turista è accolto, assistito e messo e a proprio agio. Le indicazioni sono precise, dettagliate e intuitive, spesso infatti sono anche corredate da disegni per non lasciare dubbi d’interpretazione. In poche parole un paese unico e meraviglioso, che può davvero insegnare tanto.
Per il momento vi lascio qui, ma il racconto del mio viaggio a Tokyo è appena all’inizio!!
L’Esposizione Universale si è chiusa lo scorso weekend dopo 6 mesi dalla sua inaugurazione avvenuta il 1° Maggio scorso. Sin da quando ha avuto inizio, nel 1851 a Londra, l’esposizione universale è stata il palcoscenico ideale per mostrare la grandiosità e l’ingegno dei traguardi che sono stati conquistati dall’uomo. Probabilmente il monumento più famoso al mondo, lasciato dopo l’Esposizione è la Tour Eiffel, che avrebbe dovuto essere smantellata, ma fortunatamente il suo destino prese un’altra piega diventando uno dei monumenti più visitati al mondo. E di questa Expo Made in Italy invece cosa resterà?
Due a mio parere i simboli di questa edizione italiana: l’albero della vita e…le file! Il tema portante era il cibo, la biodiversità con un occhio per chi invece, il cibo fatica a procurarselo.
Di tutto questo a livello di visitatori a mio parere resta ben poco. Expo per me si è ridotta a vedere le belle strutture dei padiglioni esterni, pochissimi all’interno e degustazioni assenti.
Secondo i dati, Expo 2015 ha generato “quasi 24 miliardi di export agroalimentare nei primo otto mesi del 2015. Con una ricaduta formidabile sul turismo, specie a Milano”, ha commentato Maurizio Martina, Ministro alle Politiche agricole con delega all’Expo.
Nove mila gli operai che hanno costruito il sito e oltre 10mila le persone che, tra impiegati e volontari, hanno prestato servizio alla Fiera Rho. Secondo le stime effettuate da Euler Hermes l’attivo generato ha raggiunto i 3 miliardi di euro, includendo l’indotto, per uno 0,1% di crescita del Pil.
L’Italia ha rafforzato la sua diplomazia economica nel Mediterraneo. E la leva della cooperazione agricola e alimentare si è rivelata un asset cruciale. Durante questi sei mesi ci sono stati più di 50mila incontri tra imprese, e moltissime delegazioni internazionali hanno visitato i nostri distretti produttivi.
Sarà ma noi dobbiamo credergli sulla parola perché Expo mi ha lasciato tanto amaro in bocca da un lato, un senso di grande unione, al di là della globalizzazione dall’altro.
Avere tante culture diverse in un’unica location mi ha dato una sensazione di grande armonia, generata dalla consapevolezza che la diversità è bellezza e scoperta, è stimolo alla conoscenza e alla curiosità, è meraviglia di fronte alle potenzialità del genere umano.
Allo stesso tempo non ho percepito il tema portante, quello del cibo, passato per me in secondo piano e poi le file estenuanti hanno smorzato gran parte dell’entusiasmo. Ai padiglioni più gettonati le file erano chilometriche, quelli meno affollati in genere erano anche i più deludenti all’interno.
E poi i disagi anche per raggiungere l’esposizione con sovraffollamento dei mezzi pubblici, ritardi, parchimetri fuori servizio, tutti elementi che hanno complicato gli spostamenti soprattutto al rientro, quando si è già sfiniti per il camminare e il lungo attendere.
Insomma avrei preferito innanzitutto più organizzazione, più interattività, più cibo, più degustazioni, più convegni, può attività, anziché una sfilata di costruzioni belle esteticamente, ma che non centrano il bersaglio.
Alla fine della fiera comunque sono arrivati anche i soliti riconoscimenti. Il Giappone che ha portato le code per la visita anche a 6 ore si è aggiudicato il riconoscimento di miglior padiglione.
Il premio per i contenuti è andato invece alla Germania. Sul tema architettura oro alla Francia, piazzamenti per Bahrain e Cina. Per la categoria Cluster gli allestimenti migliori sono stati quelli del Montenegro, argento al Venezuela, bronzo al Gabon. Per lo sviluppo del tema si è imposta l’Algeria, seguita da Cambogia e Mauritania.
Dopo essere cresciuta a pane ed anime, il tempo, gli impegni, la scuola, il lavoro mi hanno portata ( o forse mi sono lasciata portare) lontano dal mondo dei cartoni giapponesi, dei fumetti e di tutto un universo che ho riscoperto di recente. Per sancire la pace fatta tra il mio devo e il mio voglio ho deciso di visitare il Romics, alla Fiera di Roma. Sapevo che lì avrei trovato anche molti cosplayers e così, per scherzo, ho deciso di improvvisare anche io il mio cosplay da Chun- Li, per approfondire un mondo che da sempre mi affascina.
Il termine cosplay indica la pratica di travestirsi da personaggi tratti da storie di fantasia come anime, manga, videogiochi, ma anche da persone realmente esistenti. La maggior parte dei cosplayers realizza i propri abiti da solo, artigianalmente e questo è diventato ben presto un tratto distintivo.
L’arrivo della primavera è sempre attesa con ansia per lasciarsi alle spalle il freddo e il grigiore delle giornate di pioggia. Intorno la natura si risveglia e il primo colpo d’occhio è dato dalla fioritura degli alberi da frutta.
Quest’esplosione di colore è da sempre accolta in Giappone con la festa dell’ Hanami.
Cosa vogliono realmente le persone? Più scelte...ossia la libertà dai vincoli, dalle regole, dagli schemi!
Cosa piace alle persone? A questa domanda non sarò io a rispondere, ma sarete tutti VOI!
Vi seguirò, vi osserverò e racconterò quello che vi fa impazzire, vi fa ridere o anche soffrire.